Capitolo IV

LE TRE FIGURE DEL PROCESSO CICLICO


Se designamo con Ck il processo di circolazione complessivo, le tre figure possono rappresentarsi come segue:

I. D-M...P...M'-D'

II. P...Ck...P

III. Ck...P (M')

Se riuniamo le tre figure, tutti i presupposti del processo appaiono come suo risultato; come presupposto da esso stesso prodotto. Ogni momento appare come punto di partenza, punto di passaggio e punto di ritorno. Il processo complessivo si presenta come unità di processo di produzione e processo di circolazione; il processo di produzione diventa mediatore del processo di circolazione, e viceversa.

Comune ai tre cicli è la valorizzazione del valore come scopo determinante, come motivo animatore. In I, ciò è espresso nella forma. II comincia con P, lo stesso processo di valorizzazione. In III, il ciclo si apre con valore valorizzato e si conclude con valore valorizzato ex novo, anche se il movimento viene ripetuto su scala invariata.

Nella misura in cui M-D, per il compratore, è D-M, e D-M, per il venditore, è M-D, la circolazione del capitale rappresenta solo la corrente metamorfosi delle merci, e valgono le leggi sviluppate in merito ad essa sulla massa del denaro circolante. (Libro I, cap. III, 2). Se però non ci si ferma a questo lato formale, ma si considera il nesso reale intercorrente tra le metamorfosi dei diversi capitali individuali, e quindi, di fatto, fra i cicli dei capitali individuali in quanto movimenti parziali del processo di riproduzione del capitale sociale totale, questo nesso non si può spiegare con il puro e semplice cambiamento di forma di denaro e merce.

In un cerchio in rotazione continua, ogni punto è nello stesso tempo punto di partenza e punto di ritorno: se interrompiamo la rotazione, allora non ogni punto di partenza è punto di ritorno. Così abbiamo visto non solo che ogni particolare ciclo presuppone (implicitamente) l'altro, ma che la ripetizione del ciclo in una forma implica il suo svolgimento nelle altre. Perciò tutta la differenza appare come puramente formale, o anche puramente soggettiva, sussistente solo per l'osservatore.

In quanto ognuno di questi cicli venga inteso come forma particolare del movimento in cui diversi capitali industriali individuali sono impegnati, anche questa differenza esiste sempre soltanto come differenza individuale. In realtà, tuttavia, ogni capitale individuale è impegnato contemporaneamente in tutti e tre. I tre cicli, le forme di riproduzione delle tre figure del capitale, si compiono senza soluzione di continuità l'uno accanto all'altro. Per es., una parte del valore capitale ora funzionante come capitale merce si trasforma in capitale denaro; ma, contemporaneamente, un'altra entra dal processo di produzione nella circolazione come nuovo capitale merce. Così la forma ciclica M'...M' viene costantemente descritta; ma lo sono pure le altre due: la riproduzione del capitale in ciascuna delle sue forme e in ciascuno dei suoi stadi è tanto continua, quanto la metamorfosi di queste stesse forme e il passaggio in successione attraverso i tre stadi. Qui dunque il ciclo complessivo è reale unità delle sue tre forme.

Nella nostra trattazione, si è presupposto che tutto il valore capitale, secondo la sua grandezza complessiva di valore, si presenti o come capitale denaro, o come capitale produttivo, o come capitale merce. Per es., avevamo le 422 Lst., prima, interamente come capitale denaro,poi, sempre in tutto il loro ammontare, convertite in capitale produttivo, e infine come capitale merce: refe del valore di 500 Lst. (di cui, 78 Lst. plusvalore). Qui i diversi stadi formano altrettante interruzioni. Per es., finché le 422 Lst. permangono nella forma denaro, cioè fin quando non sono effettuati gli acquisti D-M (L + Pm), il capitale totale esiste e funziona soltanto come capitale denaro. Non appena sia convertito in capitale produttivo, esso non funziona né come capitale denaro, né come capitale merce; il suo processo di circolazione totale è interrotto,  così come lo è, d'altra parte, il suo processo totale di produzione non appena esso agisca in uno dei due stadi della circolazione, sia come D, sia come M'. Così, dunque, il ciclo P...P non si presenterebbe soltanto come rinnovo periodico del capitale produttivo, ma altresì come interruzione del suo funzionamento, del processo di produzione, finché il processo di circolazione non sia giunto a termine; anziché in modo continuo, la produzione si svolgerebbe a sbalzi, si rinnoverebbe soltanto dopo intervalli di durata accidentale, a seconda che i due stadi del processo di circolazione fossero percorsi più o meno rapidamente, come per es. nel caso dell'artigiano cinese che lavora soltanto per clienti privati, e il cui processo di produzione via via si arresta in attesa che l'ordinazione venga rinnovata.

In realtà, ciò vale per ogni singola parte del capitale che si trova in movimento, e tutte le parti del capitale percorrono nell'ordine questo movimento. Per es., le 10.000 libbre di refe sono il prodotto settimanale di un filatore. Queste 10.000 libbre di refe entrano nella loro totalità dalla sfera della produzione in quella della circolazione; il valore capitale in esse contenuto dev'essere interamente convertito in capitale denaro e, finché permane nella forma di capitale denaro, non può entrare nuovamente nel processo di produzione, dovendo prima entrare nella circolazione ed esservi riconvertito negli elementi L + Pm del capitale produttivo. Il processo ciclico del capitale è costante interruzione, abbandono di uno stadio, ingresso nel successivo; deposizione di una forma, esistenza in un'altra; ciascuno di questi stadi non solo determina l'altro, ma nello stesso tempo lo esclude.

La continuità, tuttavia, è il segno caratteristico della produzione capitalistica («La costante continuità del processo, il passaggio piano e fluido del valore da una forma all'altra, o da una fase del processo nell'altra, si presenta come condizione fondamentale per la produzione fondata sul capitale in tutt'altro grado che in ogni forma precedente di produzione» - Grundrisse. Ma «d'altro canto, mentre è posta la necessità di tale continuità, sul piano temporale e spaziale le fasi divergono come processi particolari, reciprocamente indifferenti. Per la produzione fondata sul capitale appare quindi accidentale che la sua condizione essenziale - la continuità dei differenti processi che costituiscono il suo processo complessivo - venga attuata o meno » - come si vedrà in tutto il corso della trattazione), dalla cui base tecnica è imposta anche se non è sempre e in ogni caso raggiungibile. Vediamo dunque come vanno le cose nella realtà. Mentre per es. le 10.000 libbre di refe accedono al mercato come capitale merce, e compiono la loro metamorfosi in denaro (sia esso mezzo di pagamento, mezzo di acquisto, o pura moneta di conto), subentra loro nel processo di produzione nuovo cotone, carbone, ecc., che dunque si è già riconvertito dalla forma denaro e dalla forma merce in quella di capitale produttivo, e inizia in quanto tale a funzionare. D'altra parte, nello stesso tempo in cui le prime 10.000 libbre di refe vengono convertite in denaro, 10.000 libbre precedenti descrivono già il secondo stadio della loro circolazione, riconvertendosi da denaro negli elementi del capitale produttivo. Tutte le parti del capitale percorrono nell'ordine il processo ciclico, occupano contemporaneamente diversi stadi dello stesso. Così il capitale industriale, nella continuità del suo ciclo, viene a trovarsi contemporaneamente in tutti i suoi stadi e nelle diverse forme di funzione che vi corrispondono. Per quanto riguarda la parte che si converte per la prima volta da capitale merce in denaro, il ciclo M'...M' si apre mentre, per il capitale industriale come un tutto in movimento, esso è già concluso. Con una mano si anticipa denaro, con l'altra lo si riscuote; l'apertura del ciclo D...D' in un punto è, contemporaneamente, il suo ritorno in un altro. Lo stesso vale per il capitale produttivo.

Il ciclo reale del capitale industriale nella sua continuità è, quindi, non soltanto unità di processo di circolazione e processo di produzione, ma unità di tutti e tre i suoi cicli. Ma può essere tale unità solo in quanto ogni diversa parte del capitale può percorrere successivamente le diverse fasi del ciclo, passare da una fase, da una forma di funzione, nell'altra; perciò il capitale industriale, come totalità di queste parti differenti, si trova contemporaneamente nelle diverse fasi e funzioni, e così descrive contemporaneamente tutti e tre i cicli. Il succedersi di ogni parte all'altra è qui determinato dal loro coesistere fianco a fianco, cioè dalla ripartizione del capitale. Così, nel sistema articolato della fabbrica, il prodotto si trova sempre tanto nei diversi gradi del suo processo di formazione, quanto nel trapasso da una fase di produzione all'altra. Poiché il capitale industriale individuale rappresenta una grandezza determinata, dipendente dai mezzi del capitalista, ma che per ogni ramo d'industria possiede una certa grandezza minima, anche la sua ripartizione deve corrispondere a determinati numeri indici. La grandezza del capitale esistente determina il volume del processo di produzione; questo, l'entità del capitale merce e del capitale denaro, in quanto operano accanto al processo di produzione. Ma la compresenza dalla quale è determinata la continuità della produzione esiste solo in virtù del movimento con cui le parti del capitale descrivono, via via di seguito, i differenti stadi: la contiguità è essa stessa il risultato della successione. Se per es. M'-D' si arresta per una delle parti, se la merce risulta invendibile, allora il ciclo di questa parte è interrotto, la sostituzione con i suoi mezzi di produzione non giunge a compimento; le parti successive, che escono come M' dal processo produttivo, si trovano ostacolate nel loro cambiamento di funzione da quelle che le hanno precedute. Se la cosa si prolunga per un certo tempo, la produzione ne risulta limitata e l'intero processo si ferma. Ogni arresto nel susseguirsi delle parti getta lo scompiglio nel loro giustapporsi; ogni arresto in uno stadio ne provoca uno più o meno grave in tutto il ciclo non solo della parte di capitale che si è fermata, ma della totalità del capitale individuale.

La forma immediatamente successiva in cui il processo si presenta è quella di un susseguirsi di fasi tale per cui il passaggio del capitale in una nuova fase è determinato dal suo abbandono dell'altra. Ogni particolare ciclo ha perciò come punto di partenza e come punto di ritorno una della forme di funzione del capitale. D'altro lato, il processo complessivo è, di fatto, l'unità dei tre cicli, che sono le forme diverse in cui si esprime la continuità del processo. Per ogni forma funzionale del capitale, il ciclo complessivo appare come suo specifico ciclo; cioè, ognuno di questi cicli determina la continuità del processo complessivo; il cerchio descritto da una forma funzionale determina l'altro. Condizione necessaria del processo totale di produzione, soprattutto del capitale sociale, è che esso sia nello stesso tempo processo di riproduzione, quindi ciclo di ognuno dei suoi elementi. Frazioni diverse del capitale percorrono in successione i diversi stadi e le diverse forme funzionali. Quindi, ogni forma funzionale, benché in essa si presenti ogni volta un'altra parte del capitale, percorre il proprio ciclo contemporaneamente alle altre. Una parte del capitale, ma una parte sempre in mutamento, sempre riprodotta, esiste come capitale merce che si trasforma in denaro; un'altra, come capitale denaro che si trasforma in capitale produttivo; una terza, come capitale produttivo che si trasforma in capitale merce. La presenza costante di tutt'e tre le forme è mediata dal passaggio ciclico del capitale totale appunto attraverso queste tre fasi.

Come totalità, il capitale è quindi compresente, nel tempo e nello spazio, nelle sue diverse fasi. Ma ogni sua parte esce costantemente - nell'ordine - da una fase, da una forma di funzione, ed entra nell'altra; opera dunque, via via di seguito, in tutte. Le forme sono perciò forme che fluiscono, la cui contemporaneità è mediata dal loro succedersi. Ogni forma segue all'altra e la precede, cosicché il ritorno di una parte del capitale ad una forma è determinato dal ritorno dell'altra ad una forma diversa. Ogni parte descrive costantemente il proprio giro, ma è sempre un'altra parte del capitale a trovarsi in quella forma, e questi particolari giri non costituiscono se non momenti contemporanei e successivi del decorso totale.

Solo nell'unità dei tre cicli si realizza, invece dell'interruzione più sopra illustrata, la continuità del processo totale. Il capitale sociale totale possiede sempre questa continuità, e il suo processo possiede sempre l'unità dei tre cicli.

Nel caso di capitali individuali, la continuità della riproduzione è più o meno interrotta in questo o quel punto: 1) perché spesso accade che le masse di valore siano, in epoche diverse, ripartite in porzioni ineguali sui diversi stadi e sulle diverse forme di funzione; 2) perché, a seconda del carattere delle merci da produrre, dunque a seconda della particolare sfera di produzione in cui è investito il capitale, queste porzioni possono essere variamente ripartite; 3) perché la continuità può venire più o meno interrotta in rami di produzione dipendenti dalla stagione a causa di circostanze sia naturali (agricoltura, pesca delle aringhe, ecc.), sia convenzionali, per es. nei cosiddetti lavori stagionali. Il processo si svolge col massimo di regolarità e uniformità in fabbrica e in miniera. Ma questa diversità nei rami di produzione non genera alcuna diversità nelle forme generali del processo ciclico.

Il capitale come valore che si valorizza non implica soltanto rapporti di classe, un carattere sociale determinato poggiante sulla esistenza del lavoro come lavoro salariato. È un movimento, un processo ciclico attraverso stadi diversi, che a sua volta include di nuovo tre diverse forme del processo ciclico: può quindi essere inteso solo come movimento, non come cosa in quiete. Coloro che ritengono pura astrazione l'autonomizzazione del valore, dimenticano che il movimento del capitale industriale è questa astrazione in actu. Qui il valore percorre diverse forme, diversi movimenti, nei quali si conserva e nel contempo si valorizza, aumenta di grandezza. Poiché qui abbiamo a che fare anzitutto con la pura forma del movimento, non si considerano le rivoluzioni che il valore capitale può subire nel suo processo ciclico; ma è chiaro che, nonostante ogni rivoluzione del valore, la produzione capitalistica esiste e può continuare ad esistere solo finché il valore capitale venga valorizzato, cioè descriva il suo processo ciclico come valore resosi autonomo; finché, dunque, le rivoluzioni di valore vengano in qualche modo superate e compensate. I movimenti del capitale appaiono come azioni del singolo capitalista industriale, cosicché quest'ultimo funge da acquirente di merci e di lavoro, da venditore di merci, da capitalista produttivo, e in tal modo, con la sua attività, media il ciclo: se il valore capitale sociale subisce una rivoluzione di valore, può avvenire che il suo capitale individuale le soccomba e perisca, perché incapace di adempiere le condizioni di questo movimento di valore. Quanto più si fanno acute e frequenti le rivoluzioni di valore, tanto più il movimento automatico del valore autonomizzato, che opera con la violenza di un processo naturale elementare, si fa valere contro le previsioni e i calcoli del capitalista singolo, tanto più il corso della produzione normale si assoggetta alla speculazione anormale, tanto maggiore si fa il pericolo per l'esistenza dei capitali singoli. Così, queste periodiche rivoluzioni di valore confermano ciò che si pretende smentiscano: l'autonomizzazione che riceve il valore come capitale, e che esso, grazie al suo movimento, conserva e rafforza.

Questo ordine di successione nelle metamorfosi del capitale in processo implica un raffronto costante tra le variazioni della grandezza di valore del capitale verificatesi nel ciclo, e il suo valore originario. Se l'autonomizzazione del valore nei confronti della forza creatrice di valore, la forza lavoro, ha inizio nell'atto D-L (compera della forza lavoro) e si realizza nel corso del processo di produzione come sfruttamento della forza lavoro, questa sua autonomizzazione non riappare di nuovo in questo ciclo, in cui denaro, merce ed elementi di produzione non sono se non forme alterne del valore capitale in processo, e la grandezza di valore passata si confronta con la grandezza presente, mutata, del capitale.

«Value», dice Bailey, contro l'autonomizzazione del valore che caratterizza il modo di produzione capitalistico e che egli considera come illusione di certi economisti, «value is a relation between cotemporary commodities, because such only admit of being exchanged with each other» («Valore è un rapporto fra merci contemporanee, perché soltanto queste tollerano d'essere scambiate fra loro».).

Questo egli dice contro il raffronto tra i valori delle merci in epoche diverse, raffronto che, una volta fissato per ogni epoca il valore del denaro, significa soltanto comparazione del dispendio di lavoro occorrente nelle diverse epoche per produrre lo stesso genere di merci. L'origine di ciò è nel suo equivoco generale, secondo cui valore di scambio = valore, la forma del valore è il valore stesso, cosicché i valori merci non sono più confrontabili quando non funzionino attivamente come valori di scambio e quindi non possano essere scambiati realiter l'uno con l'altro. Egli perciò non sospetta minimamente che un valore funzioni come valore capitale, o come capitale, nella sola misura in cui rimane identico a sé stesso, e viene raffrontato a se stesso, nelle diverse fasi del suo ciclo, che non sono affatto contemporary, ma si susseguono l'una all'altra.

Per considerare la formula del ciclo nella sua purezza, non basta supporre che le merci si vendano al loro valore; bisogna supporre che ciò avvenga in circostanze per il resto invariate. Prendiamo, ad es., la forma P...P, prescindendo da tutte le rivoluzioni tecniche entro il processo di produzione che possono svalorizzare il capitale produttivo di un dato capitalista, così come da ogni contraccolpo di un mutamento degli elementi di valore del capitale produttivo sul valore del capitale merce esistente, che può essere elevato o abbassato se ve n'è riserva. Poniamo che M', le 10.000 libbre di refe, siano vendute al loro valore di 500 Lst.; 8.440 libbre = 422 Lst. reintegrano allora il valore capitale contenuto in M'. Ma, se il valore del cotone, del carbone, ecc., è salito (poiché qui prescindiamo da pure e semplici oscillazioni di prezzo), può darsi che queste 422 Lst. non bastino a reintegrare per intero gli elementi del capitale produttivo; occorre capitale denaro addizionale; si vincola del capitale denaro. Inversamente, se quei prezzi son caduti, si libera del capitale denaro. Il processo si svolge in modo del tutto normale soltanto se i rapporti di valore restano costanti; si svolge, in realtà, finché le perturbazioni nel ripetersi del ciclo si compensano; quanto maggiori sono le perturbazioni, tanto più capitale denaro deve possedere il capitalista industriale per poter attendere la compensazione; e poiché, nel procedere della produzione capitalistica, la scala di ogni processo di produzione individuale si allarga, e con essa cresce la grandezza minima del capitale da anticipare, quella circostanza si aggiunge alle altre che sempre più trasformano la funzione del capitalista individuale in monopolio di grandi capitalisti monetari, isolati o associati.

Si deve qui osservare per inciso: se si verifica un cambiamento di valore degli elementi di produzione, si manifesta una differenza tra la forma D...D' da un lato, e le forme P...P e M...M' dall'altro.

In D...D', in quanto formula del capitale investito ex novo, che a tutta prima si presenta come capitale denaro, una caduta del valore dei mezzi di produzione, per es. materie prime, ausiliarie, ecc., imporrà,  per iniziare un'impresa di determinata ampiezza, un minore esborso di capitale denaro che prima della caduta, perché il volume del processo di produzione (a parità di sviluppo della forza produttiva) dipende dalla massa e dall'entità dei mezzi di produzione che una data quantità di forza lavoro può dominare, non invece dal valore di questi mezzi di produzione, né da quello della forza lavoro (quest'ultimo influisce soltanto sul grado di valorizzazione). Inversamente, se si verifica un aumento di valore negli elementi di produzione delle merci che costituiscono gli elementi del capitale produttivo, per fondare un'impresa di data entità occorre più capitale denaro. In entrambi i casi ne risente soltanto la quantità del capitale denaro da investire ex novo; nella misura in cui l'incremento di nuovi capitali industriali individuali procede nel modo consueto in un dato ramo di produzione, nel primo caso diviene eccedente capitale denaro; nel secondo si vincola capitale denaro.

I cicli P...P e M'...M' si presentano come D...D' solo in quanto il movimento di P e M' è al contempo accumulazione; cioè d, denaro, addizionale viene convertito in capitale denaro. Prescindendo da ciò, essi risentono diversamente da D...D' di un mutamento di valore negli elementi del capitale produttivo; prescindiamo qui di nuovo dal contraccolpo di un tale cambiamento di valore sulle parti costitutive del capitale impegnate nel processo di produzione. Qui non è l'esborso originario a risentirne direttamente, ma un capitale industriale impegnato nel suo processo di riproduzione, non nel suo primo ciclo; dunque , la riconversione del capitale merce nei suoi elementi di produzione, nella misura in cui questi constano di merci. Se cade il valore (rispettivamente il prezzo), sono possibili tre casi: 1) il processo di produzione viene proseguito sulla stessa scala, quindi una parte del capitale denaro fin allora presente viene liberato, e si verifica ammasso di capitale denaro senza che si sia avuta accumulazione in senso proprio (produzione su scala allargata)  la conversione, che la introduce e l'accompagna, di d (plusvalore) in fondo di accumulazione; 2) se le proporzioni tecniche lo permettono, il processo di riproduzione viene allargato su scala maggiore di quanto altrimenti non sarebbe avvenuto; 3) ha luogo una maggior formazione di scorte di materie prime, ecc.

Accade l'opposto se cresce il valore degli elementi sostitutivi del capitale merce. In questo caso, la riproduzione non avviene più nel suo volume normale (per es., si lavora per un tempo più breve); oppure, per farla proseguire nel volume originario, occorre l'intervento di capitale denaro addizionale (si vincola del capitale denaro); ovvero, il fondo di accumulazione in denaro, se c'è, serve in tutto o in parte a mantenere il processo di riproduzione nella scala primitiva, anziché allargarlo. Anche qui si vincola capitale denaro, con la differenza che il capitale denaro addizionale non giunge dall'esterno, dal mercato monetario, ma dalle risorse dello stesso capitalista industriale.

In P...P e M'...M', possono tuttavia verificarsi circostanze modificanti. Se per es. il nostro filatore possiede una grossa scorta di cotone (quindi, gran parte del suo capitale produttivo in forma di scorta di cotone), una caduta dei prezzi del cotone svalorizzerà una parte del suo capitale produttivo; inversamente, un loro rialzo aumenterà il valore di questa parte del suo capitale produttivo. D'altro canto, se egli ha fissato grandi masse nella forma di capitale merce, per es. in filo di cotone, la caduta del cotone svalorizzerà una parte del suo capitale merce, e quindi, in generale, del suo capitale impegnato nel ciclo; l'opposto accadrà se i prezzi del cotone salgono.  Infine, nel processo : se l'atto M'-D, realizzazione del capitale merce, si è verificato prima del cambiamento di valore negli elementi di M, il capitale ne risentirà unicamente nel modo illustrato nel primo caso, cioè nel secondo atto di circolazione, ; se invece ha luogo prima del compimento di M'-D, a parità di condizioni la caduta dei prezzi del cotone determinerà una caduta corrispondente nei prezzi del filato e, inversamente, un rialzo di prezzo del cotone determinerà un rincaro del filato. L'effetto sui diversi capitali singoli investiti nello stesso ramo di produzione può variare di molto, a seconda delle diverse circostanze in cui essi possono trovarsi. Liberazione e immobilizzazione di capitale denaro possono scaturire altresì da differenze nella durata di processo di circolazione, quindi anche nella velocità di circolazione. Ma questo rientra nell'analisi della rotazione, che faremo in seguito. Qui ci interessa soltanto la differenza reale che si manifesta fra D...D' e le altre due forme del processo ciclico, in rapporto a cambiamenti di valore negli elementi del capitale produttivo.

In epoca di modo di produzione capitalistico già sviluppato, e quindi dominante, accade che, nella sezione    della circolazione, una gran parte delle merci che compongono Pm, i mezzi di produzione, sia essa stessa capitale merce estraneo in funzione. Allora, dal punto di vista del venditore, si ha M'-D', conversione di capitale merce in capitale denaro. Ma ciò non vale in assoluto. Al contrario. Entro il suo processo di circolazione, dove il capitale industriale funziona o come denaro o come merce, il ciclo del capitale industriale, vuoi in quanto capitale denaro, vuoi in quanto capitale merce, si incrocia con la circolazione di merci dei più svariati modi di produzione sociale, nei limiti in cui questa è nello stesso tempo produzione di merci. Siano le merci il prodotto di un modo di produzione basato sulla schiavitù, o di contadini (cinesi, ryots indiani), o di comunità (Indie orientali olandesi), o di una produzione statale (come, sulla base della servitù della gleba, si presenta in epoche passate della storia russa), o di popoli cacciatori semiselvaggi, ecc., come merci e denaro esse stanno di fronte al denaro e alle merci in cui è rappresentato il capitale industriale, ed entrano sia nel ciclo di quest'ultimo, sia nel ciclo del plusvalore di cui è depositario il capitale merce, in quanto sia speso come reddito; dunque, entrano in entrambi i rami di circolazione del capitale merce. Il carattere del processo di produzione da cui esse provengono è del tutto indifferente; come merci esse funzionano sul mercato, come merci entrano sia nel ciclo del capitale industriale, sia nella circolazione del plusvalore in esso contenuto. È quindi il carattere onnilaterale della loro origine, l'esistenza del mercato come mercato mondiale, che contrassegna il processo di circolazione del capitale industriale. E quel che vale per merci estranee, vale per denaro estraneo; come di fronte ad esso il capitale merce funziona soltanto come merce, così di fronte ad esso questo denaro funziona soltanto come denaro; il denaro opera in questo caso come denaro mondiale. Qui, tuttavia, vanno fatte due osservazioni.

1.  Appena compiuto l'atto D-Pm, le merci (Pm) cessano d'essere merci e diventano uno dei modi d'essere del capitale industriale nella sua forma di funzione come P, capitale produttivo. Ma così ne è cancellata l'origine; esse non esistono più che come forme di esistenza del capitale industriale, gli sono incorporate. Resta però il fatto che per sostituirle è necessario riprodurle e, in tal senso, il modo di produzione capitalistico è condizionato da modi di produzione esistenti fuori del suo livello di sviluppo. Ma la sua tendenza è, per quanto possibile, di convertire ogni produzione in produzione di merci; il suo mezzo principale a questo scopo è appunto quello di attirarle nel proprio processo di circolazione; la stessa produzione di merci sviluppata è produzione capitalistica di merci. L'irruzione del capitale industriale favorisce dovunque questa conversione, ma, con essa, anche la trasformazione di tutti i produttori immediati in operai salariati.

2.   Le merci che entrano nel processo di circolazione del capitale industriale (cui appartengono anche i mezzi di sussistenza necessari nei quali si converte il capitale variabile, dopo essere stato pagato agli operai, al fine di riprodurre la forza lavoro), qualunque sia la loro origine, da qualunque forma sociale del processo di produzione provengano, stanno già di fronte allo stesso capitale industriale nella forma di capitale merce, di capitale mercantile o commerciale; ma questo, per sua natura, abbraccia merci di ogni modo di produzione.

Il modo di produzione capitalistico presuppone, come una produzione su vasta scala, così, necessariamente, una vendita su vasta scala; quindi vendita al commerciante, non al singolo consumatore. In quanto questo consumatore sia anche consumatore produttivo, dunque capitalista industriale; in quanto perciò il capitale industriale di un ramo di produzione fornisca all'altro i mezzi di produzione, avviene pure (sotto forma di ordinazione, ecc.) vendita diretta da un capitalista industriale a molti altri. In quanto venditore diretto, ogni capitalista industriale è commerciante di sé stesso, come lo è, d'altronde, anche nella vendita al mercante.

Il commercio delle merci come funzione del capitale commerciale è presupposto e si sviluppa sempre più via via che si sviluppa la produzione capitalistica. Noi quindi lo inseriamo occasionalmente al fine di illustrare singoli aspetti del processo di circolazione capitalistico, mentre nella sua analisi generale presupponiamo la vendita diretta senza intervento del commerciante, perché questo intervento oscura diversi momenti e fattori del movimento.

Si veda Sismondi, che presenta la cosa in maniera un po' ingenua:

«Le commerce emploie un capital considérable qui parait, au premier coup d'oeil, ne point faire partie de celui dont nous avons détaillé la marche. La valeur des draps accumulés dans les magasins du marchand-drapier semble d'abord tout-à-fait étrangère à cette partie de la production annuelle que le riche donne au pauvre comme salaire pour le faire travailler. Ce capital n'a fait cependant que remplacer celui dont nous avons parie. Pour saisir avec clarté le progrès de la richesse, nous l'avons prise à sa création, et nous l'avons suivie jusqu'à sa consommation. Alors le capital employé dans la manufacture des draps, par exemple, nous a paru toujours le mème; échangé contre le revenu du consommateur, il ne s'est partagé qu'en deux parties: l'une a servi de revenu au fabricant comme produit, l'autre a servi de revenu aux ouvriers comme salaire, tandis qu'ils fabriquent de nouveau drap.

Mais on trouva bientót que, pour l'avantage de tous, il valait mieux que les diverses parties de ce capital se remplacassent l'une l'autre, et que, si cent mille écus suffisaient à faire toute la circu-lation entre le fabricant et le consommateur, ces cent mille écus se partageassent également entre le fabricant, le marchand en gros, et le marchand en détail. Le premier, avec le tiers seulement, fit le mème ouvrage qu'il avait fait avec la totalité, parce qu'au moment où sa fabrication était achevée, il trouvait le marchand acheteur beaucoup plus tòt qu'il n'aurait trouvé le consommateur. Le capital du marchand en gros se trouvait de son coté beaucoup plus tòt remplacé par celui du marchand en détail... La différence entre les sommes des salaires avancés et le prix d'achat du dernier consommateur devait faire le profìt des capitaux. Elle se répartit entre le fabricant, le marchand et le détaillant, depuis qu'ils eurent divise entre eux leurs fonctions, et l'ouvrage accompli fut le mème, quoiqu'il eùt employé trois personnes et trois fractions de capitaux, au lieu d'une » (Nouveaux Principes, I, pp. 139, 140). «Tous» (i commercianti) «concouraient indirectement à la production, car celle-ci, ayant pour objet la consommation, ne peut ètre considérée comme accomplie que quand elle a mis la chose produite à la portée du consommateur» (ibid., p. 137).  ( «Il commercio impiega una grande quantità di capitale che a prima vista non sembra far parte di quello di cui abbiamo seguito l'evoluzione. Il valore dei panni accatastati nel magazzino del mercante di tessuti sembra del tutto estraneo a quella parte di produzione annua che il ricco cede al povero come salario del suo lavoro. Tale capitale, in realtà, non ha fatto altro che prendere il posto di quello di cui abbiamo parlato. Per poter capire con maggiore chiarezza il fenomeno dell'aumento della ricchezza siamo partiti dal momento della sua creazione per giungere fino a quello del suo consumo. Così il capitale impiegato nella manifattura dei panni, per esempio, ci è parso sempre lo stesso. Scambiato con il reddito del consumatore, il capitale si è solo diviso in due parti: la prima è servita da reddito al fabbricante come profitto, la seconda è servita da reddito agli operai come salario, mentre erano occupati a fabbricare nuove pezze di stoffa.

Ben presto, tuttavia, si capi che era interesse di tutti che le diverse parti di questo capitale si sostituissero a vicenda e che, se centomila scudi bastavano a far fronte a tutto il processo di circolazione fra il fabbricante e il consumatore, era meglio che questi centomila scudi si ripartissero fra il fabbricante, il commerciante all'ingrosso e il commerciante al dettaglio. Il primo con un terzo del capitale produsse la stessa quantità di merce che avrebbe prodotto con l'intero capitale perché, appena finito il prodotto, trovava assai più alla svelta il commerciante all'ingrosso che il consumatore. Il capitale del commerciante all'ingrosso, a sua volta, era ben presto rimpiazzato dal capitale del commerciante al dettaglio [...] La differenza fra il totale dei salari anticipati e il prezzo d'acquisto pagato dall'ultimo consumatore doveva costituire il profitto del capitale. Dopo che la separazione delle funzioni fu realizzata, il profitto si ripartì fra il fabbricante, il mercante all'ingrosso e quello al dettaglio e il volume di produzione fu uguale anche se entravano in gioco tre persone e tre quote di capitale invece di una». - «Tutti costoro » - i commercianti - « cooperavano, seppure indirettamente, alla produzione; infatti essa, avendo per obiettivo il consumo, non può dirsi conclusa che quando il prodotto è messo a disposizione del consumatore».)

Nel considerare le forme generali del ciclo e, in genere, in tutto questo Libro II, noi assumiamo il denaro come moneta metallica, ad esclusione sia del denaro simbolico, dei puri segni di valore che sono unicamente la specialità di certi Stati, sia del denaro di credito, che non abbiamo ancora sviluppato. Prima di tutto, è questo il corso della storia; nella prima epoca della produzione capitalistica, la moneta di credito ha una parte nulla o insignificante. In secondo luogo, la necessità di procedere così è anche teoricamente dimostrata dal fatto che tutte le critiche finora svolte da Tooke e da altri alla circolazione della moneta di credito li ha sempre costretti a tornare a chiedersi come si sarebbe presentata la cosa sulla base di una circolazione puramente metallica. Non si deve tuttavia dimenticare che il denaro metallico può funzionare sia come mezzo di acquisto, sia come mezzo di pagamento. Per semplificare, in questo Libro II noi lo consideriamo, di norma, solo nella prima forma di funzione.

Il processo di circolazione del capitale industriale, che costituisce soltanto una parte del suo individuale processo ciclico, è determinato, in quanto non rappresenta che una serie di atti nell'ambito della circolazione generale delle merci, dalle leggi generali precedentemente sviluppate (Libro I, cap. III) . La stessa massa monetaria, per es. 500 Lst., mette successivamente in circolazione un numero tanto maggiore di capitali industriali (o anche di capitali individuali nella forma di capitali merce), quanto più è grande la velocità di circolazione del denaro, quanto più rapidamente, perciò, ogni capitale singolo percorre la serie delle sue metamorfosi di merce o di denaro. La medesima massa di valore di capitale esige quindi per la sua circolazione tanto meno denaro, quanto più il denaro funziona come mezzo di pagamento, quanto più perciò, ad es. nella sostituzione di un capitale merce con i suoi mezzi di produzione, si hanno soltanto da pagare dei saldi, e quanto più sono brevi i termini di pagamento, ad es. nel corrispondere i salari. D'altra parte, supponendo invariate la velocità di circolazione e tutte le altre circostanze, la massa monetaria che deve circolare come capitale denaro è determinata dalla somma dei prezzi delle merci (prezzo moltiplicato per massa delle merci) o, dati che siano la massa e i valori delle merci, dal valore del denaro stesso.

Ma le leggi della circolazione generale delle merci valgono solo in quanto il processo di circolazione del capitale formi una serie di atti semplici di circolazione, non in quanto questi ultimi rappresentino sezioni funzionalmente determinate del ciclo di capitali industriali individuali.

Per chiarire il punto, il meglio è considerare il processo di circolazione nel suo nesso ininterrotto, così come appare nelle due forme:

In quanto serie di atti di circolazione in generale, il processo di circolazione (sia come M-D-M, sia come D-M-D) non rappresenta che le due serie opposte di metamorfosi delle merci, ognuna delle quali implica a sua volta la metamorfosi inversa dal lato della merce altrui, o del denaro altrui, che le si trova di fronte. M-D dal lato del possessore di merci è D-M dal lato dell'acquirente; la prima metamorfosi della merce nell'atto M-D è la seconda metamorfosi della merce che si presenta come D; l'opposto è in D-M. Dunque, quanto si è detto sull'intreccio della metamorfosi della merce in uno stadio con la metamorfosi di un'altra merce in un altro, vale per la circolazione del capitale nella misura in cui il capitalista funziona come acquirente e venditore di merce, e quindi il suo capitale funziona o come denaro di fronte a merce altrui, o come merce di fronte a denaro altrui. Ma questo intreccio non esprime nello stesso tempo l'intreccio di metamorfosi dei capitali:

1. Come abbiamo visto, D-M (Pm) può rappresentare l'intreccio delle metamorfosi di diversi capitali individuali. Per es., il capitale merce del filatore di cotone, filo, viene in parte sostituito da carbone. Una parte del suo capitale si trova nella forma denaro e viene convertita in forma merce, mentre il capitale del capitalista produttore di carbone si trova in forma merce e quindi viene convertito in forma denaro; qui, lo stesso atto di circolazione rappresenta metamorfosi inverse di due capitali industriali (appartenenti a rami diversi di produzione); quindi, intreccio delle serie di metamorfosi di questi capitali. Ma, come si è visto, il Pm in cui si converte D non è necessariamente capitale merce in senso categorico, cioè forma funzionale di un capitale industriale; non è necessariamente prodotto da un capitalista. È sempre D-M da un lato e M-D dall'altro, ma non sempre intreccio di metamorfosi di capitale.

Inoltre, D-L, l'acquisto della forza lavoro, non è mai intreccio di metamorfosi di capitale, perché la forza lavoro è, sì, merce del lavoratore, ma non diventa capitale se non quando è venduta al capitalista. D'altra parte, nel processo M'-D', il D' non è necessariamente capitale merce metamorfosato; può essere monetizzazione della merce forza lavoro (salario) o di un prodotto fornito da lavoratori indipendenti, schiavi, servi della gleba, comunità.

2. Per quanto riguarda la parte funzionalmente determinata svolta da ogni metamorfosi verifìcantesi entro il processo di circolazione di un capitale individuale, non è affatto detto che essa rappresenti, nel ciclo dell'altro capitale, la corrispondente metamorfosi inversa, se cioè supponiamo che l'intera produzione del mercato mondiale sia esercitata capitalisticamente. Nel ciclo P...P, per esempio, il D' che monetizza M' può, dal lato dell'acquirente, essere soltanto monetizzazione del suo plusvalore (se la merce è un articolo di consumo); ovvero, in (dove perciò il capitale entra accumulato), per il venditore di Pm può entrare solo come reintegrazione del suo anticipo di capitale, o non rientrare affatto nella circolazione del suo capitale, se cioè devia nella spesa di reddito.

Perciò, come i diversi elementi del capitale sociale totale, di cui i singoli capitali non sono che parti costitutive funzionanti in modo autonomo, si sostituiscano a vicenda nel processo di circolazione, in rapporto sia al capitale che al plusvalore, non risulta dai puri e semplici intrecci di metamorfosi della circolazione delle merci, che sono comuni agli atti della circolazione di capitale e ad ogni altra circolazione di merci, ma esige un altro modo d'indagine. A questo proposito, finora ci si è accontentati di frasi che, a ben guardare, non contengono se non rappresentazioni confuse perché attinte unicamente agli intrecci di metamorfosi che sono propri di ogni circolazione di merci.

Una delle più tangibili peculiarità del processo ciclico del capitale industriale, quindi anche della produzione capitalistica, è che, da un lato, gli elementi di cui si compone il capitale produttivo provengono dal mercato delle merci e vi si devono costantemente rinnovare, esservi acquistati come merci, e che, dall'altro, il prodotto del processo di lavoro ne esce come merce e dev'essere costantemente rivenduto come merce. Si confrontino per es. un moderno fittavolo della Bassa Scozia e un piccolo, antiquato contadino continentale. Il primo vende tutto il suo prodotto, deve quindi sostituirne sul mercato tutti gli elementi, ivi comprese le sementi; il secondo consuma direttamente la maggior parte del suo prodotto, compra e vende il meno che può, fabbrica possibilmente con le sue mani attrezzi, vestiario, ecc.

In base a ciò si sono contrapposte l'una all'altra, come le tre forme economiche caratteristiche del movimento della produzione sociale, l'economia naturale, l'economia monetaria e l'economia creditizia. Ora:

1.  Queste tre forme non rappresentano affatto fasi equivalenti di sviluppo. La cosiddetta economia creditizia non è che una forma dell'economia monetaria, in quanto tutti e due i termini esprimono funzioni o modi di relazione e di scambio fra gli stessi produttori. Nella produzione capitalistica sviluppata, l'economia monetaria appare ancora soltanto come base dell'economia creditizia. Economia monetaria ed economia creditizia corrispondono dunque unicamente a stadi diversi di sviluppo della produzione capitalistica, ma non sono in alcun modo forme diverse e indipendenti di scambio di fronte all'economia naturale. Allo stesso titolo, si potrebbero contrapporre ad entrambe, come equivalenti, le forme assai diverse dell'economia naturale.

2.  Poiché nelle categorie: economia monetaria ed economia creditizia, si accentua e si mette in risalto come segno distintivo non l'economia, cioè lo stesso processo di produzione, ma il modo di relazione e di scambio, corrispondente all'economia, fra i diversi agenti della produzione, cioè fra i diversi produttori, lo stesso criterio dovrebbe valere per la prima categoria. Invece di economia naturale, dunque, si avrebbe economia di scambio. Un'economia naturale completamente chiusa, come per es. lo Stato incaico del Perù, non cadrebbe sotto nessuna di queste categorie.

3. L'economia monetaria è comune ad ogni produzione di merci, e il prodotto appare come merce nei più disparati organismi sociali di produzione. La produzione capitalistica non sarebbe dunque caratterizzata che dall'estensione in cui il prodotto viene prodotto come articolo di commercio, come merce, e in cui, perciò, anche i suoi propri elementi costitutivi devono entrare di nuovo come articoli di commercio, come merci, nell'economia dalla quale esso proviene.

In realtà, la produzione capitalistica è la produzione di merci come forma generale della produzione, ma lo è, e lo diviene sempre di più nel corso del suo sviluppo, solo perché qui il lavoro stesso appare come merce, perché l'operaio vende il lavoro, cioè il funzionamento della sua forza lavoro; e lo vende, come noi presupponiamo, al suo valore determinato dai suoi costi di riproduzione. Il produttore diventa capitalista industriale nella misura in cui il lavoro diventa lavoro salariato: perciò la produzione capitalistica (quindi anche la produzione di merci) appare in tutta la sua estensione anche solo quando il produttore agricolo diretto è lavoratore salariato. Nel rapporto fra capitalista e salariato, il rapporto monetario, il rapporto fra compratore e venditore, diviene un rapporto immanente alla stessa produzione. Ma questo rapporto poggia, come sulla sua base, sul carattere sociale della produzione, non del modo di scambio; al contrario, questo deriva da quello. Corrisponde del resto all'orizzonte borghese, nel quale il concludere affarucci occupa tutta la testa, il non vedere nel carattere del modo di produzione la base del modo di scambio ad esso corrispondente, ma proprio l'opposto».

Il capitalista getta nella circolazione meno valore in forma denaro di quanto non ne estragga, perché vi getta più valore in forma merce di quanto non ne abbia estratto in forma merce.

Nella misura in cui agisce come pura e semplice personificazione del capitale, come capitalista industriale, la sua offerta di valore merce supera sempre la sua domanda di valore merce. Una coincidenza fra la sua offerta e la sua domanda equivarrebbe, da questo punto di vista, ad una non-valorizzazione del suo capitale; esso non avrebbe funzionato come capitale produttivo; il capitale produttivo si sarebbe trasformato in capitale merce non fecondato di plusvalore; durante il processo di produzione, non avrebbe estorto dalla forza lavoro plusvalore in forma merce; quindi, non avrebbe affatto agito come capitale. In realtà, egli deve «vendere più caro di quanto non abbia acquistato», ma vi riesce appunto solo perché, mediante il processo di produzione capitalistico, ha trasformato la merce meno cara, perché di minor valore, che ha comperato, in una di maggior valore, quindi più cara. Vende più caro non perché venda al disopra del valore della sua merce, ma perché vende una merce di valore superiore alla somma di valore degli ingredienti della sua produzione.

Il tasso al quale il capitalista valorizza il suo capitale è tanto più elevato, quanto è maggiore la differenza tra la sua offerta e la sua domanda, cioè quanto è maggiore l'eccedenza del valore merce da lui offerto sul valore merce oggetto della sua domanda. Suo scopo non è già la coincidenza fra i due, ma la loro maggior divergenza possibile, la sovraeccedenza della sua offerta sulla sua domanda.

Quel che vale per il singolo capitalista, vale per la classe dei capitalisti.

In quanto il capitalista impersona semplicemente il capitale industriale, la sua domanda non è che domanda di mezzi di produzione e di forza lavoro. La sua domanda di Pm, considerata secondo la sua valenza, è inferiore al capitale da lui anticipato; egli compra mezzi di produzione di un valore minore di quello del suo capitale, quindi ancora assai minore di quello del capitale merce ch'egli offre.

A sua volta, la sua domanda di forza lavoro è determinata, secondo la sua valenza, dal rapporto fra il suo capitale variabile e il suo capitale totale, dunque = v : C; nella produzione capitalistica, è quindi progressivamente sempre minore della sua domanda di mezzi di produzione. Egli è, in misura sempre crescente, maggior compratore di Pm che di L.

In quanto l'operaio per lo più converte il suo salario in mezzi di sussistenza, e, per la parte di gran lunga maggiore, in mezzi di sussistenza necessari, la domanda di forza lavoro da parte del capitalista è indirettamente, nello stesso tempo, domanda dei mezzi di consumo che entrano nel consumo della classe operaia. Ma questa domanda è = ve non un atomo di più (se l'operaio risparmia sul suo salario - qui facciamo necessariamente astrazione da ogni rapporto creditizio - ciò significa che converte una parte del suo salario in tesoro e, pro tanto, non interviene come richiedente, come compratore). Il limite massimo della domanda del capitalista è = C = c + v, ma la sua offerta è == e + v + p; se dunque il suo capitale merce è costituito  da  8oc + 20v + 20p,  la  sua  domanda sarà 8oc + 20v, e perciò, considerata secondo la sua valenza, inferiore di 1/5 alla sua propria offerta. Quanto più elevata è la percentuale della massa p da lui prodotta (il saggio di profitto), tanto minore sarà la sua domanda in rapporto all'offerta. Benché, col progredire della produzione, la domanda del capitalista in forza lavoro e quindi, indirettamente, in mezzi di sussistenza necessari decresca progressivamente in rapporto alla sua domanda di mezzi di produzione, non si deve dimenticare d'altro lato che la sua domanda di Pm è sempre minore del suo capitale calcolato giorno per giorno. Ne segue che la sua domanda di mezzi di produzione deve sempre essere di valore inferiore al prodotto merce del capitalista che gli fornisce questi mezzi di produzione e che lavori con capitale eguale e in condizioni per il resto eguali. Che si tratti di molti capitalisti anziché di uno solo, non cambia nulla alla cosa. Posto che il suo capitale sia di 1.000 Lst. e la parte costante di questo = 800 Lst.; la sua domanda nei confronti di tutti quei capitalisti sarà m 800 Lst.; ora, a pari saggio di profitto, tutti assieme essi forniscono per 1.000 Lst. (poco importa quanto ne spetti a ciascuno, e quale parte del suo capitale totale formi la quantità spettante a ciascuno) mezzi di produzione del valore di 1.200 Lst. La sua domanda non coprirà dunque che i 2/3 della loro offerta, mentre la sua domanda totale, considerata secondo la grandezza di valore, non è che i 4/5 della sua offerta.  

Ora dobbiamo premettere, incidentalmente, anche la considerazione della rotazione. Posto che il suo capitale totale sia di 5.000 Lst., 4.000 delle quali capitale fisso e 1.000 circolante; secondo quanto assunto più sopra, queste 1.000 Lst. saranno = = 8ooc + 200v. Il suo capitale circolante deve compiere cinque rotazioni in un anno affinché il suo capitale totale ne compia una; il suo prodotto merce sarà quindi  =  6.000  Lst.,  cioè maggiore per 1.000 Lst. del suo capitale anticipato; il che dà lo stesso rapporto di plusvalore che sopra: 5.000 C : 1000p  = 100 (c + v): 20p. Questa rotazione non cambia perciò nulla al rapporto fra la domanda totale del capitalista e la sua offerta totale; la prima resta di 1/5 inferiore alla seconda.

Poniamo ora che il suo capitale fisso vada rinnovato in 10 anni. Egli allora ne ammortizza annualmente 1/10 = 400 Lst.

Gli resta dunque soltanto il valore di 3.600 Lst. in capitale fisso + 400 Lst. in denaro. Le riparazioni che si rendano necessarie, e che non superino la media, non sono che investimenti di capitale da lui posticipatamente effettuati. Possiamo considerare la cosa come se, nella valutazione del suo capitale d'investimento, in quanto entra nel suo prodotto merce annuo, egli abbia già calcolato le spese di riparazione, in modo che siano comprese nell'1/10 di ammortamento. (Se, di fatto, il suo bisogno di riparazioni non raggiunge la media, per lui è un affare, così come è un danno se la supera. Ma, per l'intera classe dei capitalisti occupati nello stesso ramo d'industria, la cosa si compensa). In ogni caso, sebbene, data un'unica rotazione annua del suo capitale totale, la sua domanda annua rimanga = 5.000 Lst., pari al valore capitale da lui originariamente anticipato, essa tuttavia cresce in relazione alla parte circolante del capitale, mentre decresce costantemente in relazione alla sua parte fissa.

Veniamo ora alla riproduzione. Posto che il capitalista consumi l'intero plusvalore d, e si limiti a riconvertire in capitale produttivo la grandezza di capitale originaria C, la sua domanda equivarrà alla sua offerta. Ma non in relazione al movimento del suo capitale;  al contrario,  come  capitalista  egli  esercita una domanda solo per 4/5 della sua offerta (secondo la grandezza  di valore) e come non-capitalista ne consuma 1/5; lo consuma non nella propria funzione di capitalista, ma per propri bisogni o piaceri privati.

Il suo conto è allora, calcolato in percentuale:

Domanda come capitalista  = 100, Offerta = 120

Domanda come gaudente   =  20, Offerta =  —

                              -------------------------

Totale domanda               = 120, Offerta = 120

Supporre questo, è supporre che la produzione capitalistica non esista, e quindi non esista lo stesso capitalista industriale. Infatti, il capitalismo è già soppresso nelle sue basi se si suppone che motivo determinante ne sia il godimento e non l'arricchimento.

Ma l'ipotesi è anche tecnicamente impossibile. Il capitalista non deve soltanto costituirsi un capitale di riserva contro le oscillazioni dei prezzi e in attesa delle congiunture più favorevoli per l'acquisto e la vendita; deve pure accumulare capitale per estendere così la produzione e incorporare i progressi tecnici al proprio organismo produttivo.

Per accumulare capitale, egli deve prima sottrarre alla circolazione una parte del plusvalore in forma denaro affluitogli dalla circolazione, lasciarla crescere come tesoro finché abbia raggiunto le dimensioni sufficienti per ampliare l'impresa originaria o aprirne una collaterale. La tesaurizzazione, fin quando dura, non aumenta la domanda del capitalista; il denaro è immobilizzato; non sottrae al mercato delle merci nessun equivalente in merce in cambio dell'equivalente in denaro che gli ha sottratto per la merce immessavi.

Dal credito qui si prescinde; e appartiene al credito il fatto che, per esempio, il capitalista depositi il denaro, via via che si accumula, in un conto corrente fruttifero presso una banca.